Ciao Silvia e Alessandro, presentatevi ai nostri lettori. Chi siete e che cosa fate?
Siamo un essere scomposto in due teste, quattro mani e due racle che si aggira tra le nebbie emiliane…
Scherzi a parte, lavoriamo spesso in due o più elementi anche in collaborazione con altre realtà del territorio, una su tutte l’Associazione Yoruba: diffusione arte contemporanea con la quale organizziamo dei laboratori didattici per un target giovane.
Fondamentalmente facciamo solo ciò che ci piace con persone affini alla nostra attitudine in modo da avere la totale libertà e autonomia artistica ed etica sul lavoro.
Come nasce Varol? Quanti siete a lavorare a questo progetto?
Varol nasce circa quattro anni fa, entrambi lavoriamo in ambito grafico/artistico ed abbiamo deciso, in occasione del festival di produzioni indipendenti – Borderline – di portare alcuni lavori serigrafici stampati su shopper e indumenti per testare l’impatto della nostra produzione con il pubblico di un contesto più ampio. L’operazione è andata bene e da lì abbiamo continuato a sperimentare.
Il nome Varol è stato scelto per gioco, tutti noi conosciamo Andy Warhol e le sue opere realizzate con la tecnica serigrafica, così “giocando” con una parola del dialetto ferrarese assonante al suo nome l’abbiamo scelta.
Varol significa vaiolo, da qui l’uso di temi “medici” per le nostre locandine, il che ci porta alla prossima domanda…
La vostra serigrafia è virulenta. Ci svelate che cosa significa?
Per virulenta intendiamo un approccio al lavoro contagioso, invasivo, pensando al supporto stoffa come uno spazio da “indossare”, supportiamo l’estro e la voglia di essere unici.
Leggiamo che stampate una linea di indumenti e shoppers realizzati con tecnica serigrafica artigianale ispirata al refuso. Spiegateci meglio.
Per le shopper ad esempio scegliamo delle stoffe di riciclo o ne acquistiamo appositamente e le realizziamo da zero, tagliando e cucendo, abbinando fili per le cuciture e tipologia di punto.
Essendo appassionati di musica, e del vinile in particolare, abbiamo creato queste borse per quell’uso specifico, sono abbastanza grandi da contenere vinili ma anche altro materiale.
Non abbiamo una linea standard per quanto riguarda gli indumenti (felpe, t-shirts, intimo, o quant’altro) ma anche in questo caso preferiamo usare capi di recupero o fine serie.
Ci piace lavorare a livelli, di solito usiamo una texture o due per poi sovrapporre il soggetto, giochiamo con i colori e le sfumature, amiamo anche stampare in modo imperfetto; la texture incompleta, sporcata, difettosa è un qualcosa che fa da substrato all’immagine da stampare, oppure una sovrapposizione di simboli e figure.
I soggetti delle nostre grafiche nascono da rielaborazioni di vecchie foto, stampe o disegni originali che manipoliamo a seconda del bisogno.
Ci piace definire il nostro modo di lavorare wear art (arte da indossare) ed è quello che tentiamo anche di trasmettere a chi viene ai nostri workshop: sperimentate, non fermatevi alla scritta o all’immagine virale del momento, scavate, cercate, e stampate ovunque il vostro mondo.
Secondo voi quale prodotto o quale servizio manca nel mercato della stampa e della serigrafia? Qualcosa che potrebbe facilitare il lavoro di voi serigrafi e che ancora non esiste…
Forse manca un kit per principianti ad un costo veramente basso, spesso nei nostri corsi o alle lezioni troviamo ragazzi molto entusiasti e presi dalla serigrafia, quando poi si elencano loro i materiali che servono per iniziare alcuni si demotivano. Forse basterebbe creare una pacchetto che contenga inchiostri, racla, emulsione e tela al quale aggiungere un manualetto con i “trucchi” del diy per la costruzione dell’espositore e la tesatura, istruzioni che su internet si trovano facilmente ma avendole racchiuse in un unico box potrebbe creare una miriade di serigrafi.
Noi nei nostri workshop oltre al telaio diamo sempre una piccola pubblicazione autoprodotta che spiega tutto il procedimento passo a passo, il “Manuale dell’Imperfetto Serigrafo”.
Cosa vuol dire per voi artigianale? La serigrafia fa ancora rima con questa parola?
Intesa come la intendiamo noi e tanti altri che la praticano a livello non seriale si, si può definire artigianale.
Tutto quello che facciamo parte dalle nostre mani, dalla creazione del telaio, la tesatura, lo sviluppo, il lavaggio, la creazione della grafica, lo studio della stessa…ci piace sporcarci le mani con l’inchiostro, sentirne il contatto e vederne il risultato.
Cosa vi piace fare quando non serigrafate?
Ci occupiamo di grafica, arte visiva e musica, quindi una costante ricerca di materiali per tutti gli svariati progetti che seguiamo.
Acqua o Plastisol?
Acqua, ma non escludiamo di usare il Plastisol prossimamente.
Cosa c’è nel vostro laboratorio?
Non abbiamo uno spazio adibito esclusivamente a laboratorio. Spesso utilizziamo location messe a disposizione per progetti ad hoc oppure lavoriamo nelle rispettive abitazioni per sessioni di stampa mirate ad eventi. Siamo comunque circondati da enciclopedie mediche, settimanali vintage, fotografie, copertine di dischi e materiali di uso comune che trasformiamo nelle texture e usiamo per la stampa del telaio a contatto: corde, nastri, viti, utensili e chissà cos’altro…!?